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Il Nebbiolo è un antico vitigno delle Langhe diventato progenitore dei nobili Barolo e Barbaresco. Il processo di vinificazione, i rigidi disciplinari e il ruolo del terroir nel modellare questi vini eccezionali sono particolari veramente interessanti.

Il Nebbiolo, con la sua nobile eredità, è il fulcro della viticoltura piemontese. Questo vitigno, base per alcuni dei vini più rinomati e apprezzati al mondo, incarna la tradizione vinicola italiana.

Le origini del termine “Nebbiolo” sono avvolte da un alone di mistero. Sono due le principali teorie che dibattono sull’etimologia: la prima suggerisce una derivazione dal latino “nobilis”, indicativo delle qualità nobili e aristocratiche dell’uva e riflettendo la sua statura nel “Re” e la “Regina” delle Langhe, incarnati rispettivamente dal Barolo e dal Barbaresco; l’altra interpretazione collega il nome alla parola “nebula” o nebbia, un riferimento al velo che ricopre gli acini durante le nebbie autunnali delle Langhe, periodo tipico della raccolta del Nebbiolo. Questa associazione evoca l’immagine delle uve e anche il momento della loro vendemmia, sottolineando la sinergia tra il vitigno e il suo habitat naturale.

Dalla barbatella alla vite produttiva

La trasformazione di una barbatella di Nebbiolo in una vite produttiva è un processo lungo e delicato che richiede dai 3 ai 5 anni. Durante questo periodo, le viti giovani devono adattarsi al loro microclima specifico assorbendo e rivelando le caratteristiche uniche del terroir in cui crescono. Questo sviluppo influisce particolarmente sulla qualità del vino prodotto e sottolinea l’importanza di attente pratiche agricole.

Tracce storiche del Nebbiolo

Risalendo al 1272 troviamo una delle prime attestazioni del Nebbiolo in un documento che narra di un dono fatto a Re Edoardo I d’Inghilterra: alcuni grappoli di questo prezioso vitigno! Nei secoli successivi il Nebbiolo ha guadagnato l’ammirazione di figure storiche come Carlo V e Thomas Jefferson, fino a essere immortalato nella vinificazione del Barolo da Camillo Benso, Conte di Cavour, conferendogli una reputazione assoluta.

Da Nebbiolo a Barolo e Barbaresco: il Disciplinare

La trasformazione del Nebbiolo in Barolo o Barbaresco segue disciplinari di produzione rigorosi che stabiliscono metodi di coltivazione, vinificazione e invecchiamento:

Barolo: richiede un invecchiamento minimo di 38 mesi, di cui 18 in botti di legno, che permettono al vino di sviluppare la sua struttura complessa e profonda.

Barbaresco: meno austero, richiede un invecchiamento di almeno 26 mesi, con 9 mesi in botti di legno, che conferiscono eleganza e finezza al vino.

Tipi di botti e processo di invecchiamento

Le botti utilizzate per l’invecchiamento sono principalmente di rovere, con una preferenza per la rovere slavona o francese a seconda delle caratteristiche desiderate nel vino finito. Queste botti grandi aiutano a moderare l’intensità tannica del Nebbiolo integrando i sapori di legno e frutti in modo armonioso e bilanciato.

Vini storici: le bottiglie più vecchie d'Italia

Barolo e Barbaresco sono tra i vini italiani con il più alto potenziale di invecchiamento. Alcune delle bottiglie più antiche conservate provengono proprio da questi e ne testimoniano la lunga storia e la qualità senza tempo. Queste annate storiche spesso sono custodite in cantine tradizionali locali e rappresentano sicuramente un patrimonio culturale italiano.

Il “Museo del Vino” di Barolo

Per chi desidera approfondire ulteriormente la storia e la cultura del Barolo, il Museo del Vino di Barolo offre una tappa imperdibile. Situato nel castello di Barolo, nel cuore delle Langhe, il museo documenta la storia del vitigno Nebbiolo, la sua evoluzione nel celebre vino e anche il suo impatto culturale e sociale nella regione e nel mondo. Attraverso interessantissime esposizioni interattive e collezioni storiche si capirà come il Barolo sia diventato un’eccellenza italiana nel panorama vinicolo globale e non solo.

Il fascino regale del Barolo e Barbaresco

Re e regine, poeti e scrittori hanno esaltato il Nebbiolo, il Barolo e il Barbaresco, elevandoli a simboli dell’enologia attraverso i secoli.

Storicamente, il Barolo è conosciuto come il “vino dei re” e il “re dei vini”. La sua associazione con la nobiltà iniziò nel XIX secolo quando il conte di Cavour, per promuovere l’unificazione d’Italia, lo propose alle corti europee. Anche Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia, era un noto estimatore di Barolo, tanto che il vino era regolarmente servito nelle occasioni di stato. E che dire della regina Margherita di Savoia… era nota per il suo amore verso questo vino, consolidandone ulteriormente la reputazione tra le élite.

Tra poeti e scrittori che hanno lodato il Nebbiolo nei loro scritti e ne hanno celebrato la qualità in versi e prose possiamo citare Giovanni Pascoli che, nei suoi componimenti, spesso ha esaltato la terra e i suoi frutti, tra cui il vino. Anche Baudelaire, in alcune delle sue corrispondenze, ha menzionato il piacere di bere vini pregiati, come il Barolo, apprezzandone la “forza emotiva” che poteva evocare (!!!).

Il terroir: protagonista indiscusso

Il terroir delle Langhe, con il suo suolo ricco di calcare e argilla, contribuisce esponenzialmente alla struttura e al profilo aromatico del Nebbiolo. L’interazione tra clima, suolo e variazione altimetrica crea un ambiente unico che è impossibile replicare altrove, rendendo ogni bottiglia una vera espressione del suo ambiente.

Sinonimi e varianti locali del Nebbiolo

A seconda delle aree di produzione, il Nebbiolo assume diverse denominazioni che riflettono le peculiarità locali:

Spanna: nel novarese, un nome che evoca la forma allungata dei suoi grappoli.

Chiavennasca: in Valtellina, che significa “vitigno vigoroso”.

Prunent in Val d’Ossola, dal termine locale che descrive la pruina sui grappoli.

Piccolo omaggio alla Valtellina: Il Nebbiolo come Chiavennasca

In Valtellina il vitigno prende il nome di Chiavennasca, evidenziando la forza e la robustezza tipiche della regione e dei suoi abitanti.

Nelle Alpi italiane, la Valtellina rappresenta un capitolo affascinante nella storia del Nebbiolo, qui conosciuto come Chiavennasca.

Contrariamente alle morbide colline delle Langhe, la Valtellina è un territorio realmente arduo, con i suoi ripidi pendii montani, per il suo clima particolare e i suoli poveri di nutrienti e richiede una coltivazione che potremmo definire “eroica”. Qui, il Nebbiolo si esprime in modi che evidenziano la tenacia necessaria per prosperare in un ambiente così impegnativo: vini di straordinaria intensità aromatica, complessità minerale, profilo tannico distintivo e una freschezza che li differenziano nettamente dai cugini piemontesi.

Il Nebbiolo e la sua trasformazione in Barolo e Barbaresco, illustra la magia del terroir delle Langhe. Non parliamo solo di bevande ma di “storie liquide”, “pozioni magiche” di un territorio che ha saputo esaltare al meglio le caratteristiche di un vitigno unico.

Eccovi un elenco delle cantine che ci hanno maggiormente “coinvolto”:

Per il Nebbiolo:

Cantina Bovio a La Morra – Langhe Nebbiolo Firagnetti;
Cantina Pianpolvere a Monforte d’Alba;

per il Barolo:

Cantina Anna Maria Abbona a Dogliani – Barolo Bricco San Pietro;
Cantina Viberti a Barolo – Barolo Buon Padre;

per il Barbaresco:

Cantina Silvia Rivella a Barbaresco – Montestefano